La politica delle alleanze nella transizione italiana
L'emergere di una competizione tra coalizioni partitiche rappresenta una delle principali conseguenze delle regole per l'elezione dei due rami del parlamento, dei consigli regionali e degli organismi amministrativi di comuni e province adottate in Italia fra il 1993 e il 19951. Nell'operatività dei nuovi sistemi elettorali, la scelta dell'aggregazione fa capo agli aspetti maggioritari del meccanismo di voto (l'elezione dei deputati e dei senatori nei collegi uninominali, l'attribuzione del premio di maggioranza nei consigli regionali, l'elezione del sindaco e del presidente della provincia), ancorati, con maggiore o minore forza cogente, allo scopo di «votare per eleggere un governo»2. In tal modo, la politica delle alleanze si è affermata come un elemento permanente del processo elettorale, decisivo ai fini del risultato e non privo di implicazioni sull'evoluzione strutturale del sistema partitico. La formazione delle coalizioni e la progressiva ridefinizione dell'offerta coalizionale, in effetti, hanno cadenzato fin qui i passaggi elettorali della transizione italiana. La forza aggregativa del Pds e la sua capacità di attivare una logica di schieramento si rivelarono determinanti, in assenza di coalizioni alternative, per il successo della sinistra negli importanti test elettorali locali dell'estate e dell'autunno 1993. La formula inventata da Silvio Berlusconi per colmare il deficit di offerta sul fronte moderato – il cartello elettorale a geografia variabile che vedeva la sua nuova formazione politica alleata al Nord con la Lega e al Sud con il Msi-An – consentì alle destre di vincere le elezioni politiche del marzo 1994. Nella fase successiva, il vincolo delle alleanze ha determinato la rottura del polo di centro e il riequilibrio coalizionale che ne è scaturito ha favorito, alle elezioni regionali dell'aprile 19953, il dispiegarsi di una competizione tendenzialmente bipolare tra due schieramenti di analoga forza.